Un testimone racconta i particolari della detenzione, a Sulmona, di Wolfgang Abel condannato per crimini neonazisti. Con Marco Furlan terrorizzò l’Italia e la Baviera con una serie di omicidi firmati dalla ‘banda Ludwig’
SULMONA – “Era una persona distinta, taciturna e molto attratta dalla matematica. Nelle poche ore d’aria che decideva di vivere nei cortili passeggi ricordo che portava con sé sempre un libro dedicato alla sua materia preferita: la matematica”. Così Mauro Nardella, vicesegretario del Sindacato di Polizia penitenziaria (Spp) che ha gestito la detenzione nel supercarcere Peligno di Wolfgang Abel, morto poche ore fa. Parliamo dell’uomo che, con Marco Furlan, seminò terrore e morte con la famigerata banda Ludwig.
A Sulmona, nel carcere di via Lamaccio dal 2003 al 2008, Wolfgang Abel “salutava con molta difficoltà e si mostrava molto diffidente nei confronti degli agenti”. Così il sindacalista ha descritto il serial killer condannato per 15 omicidi commessi, dal 1977 al 1984, tra il Veneto, la Lombardia e la Baviera. Tra le vittime un sacerdote trovato con un punteruolo piantato nel cranio, un senzatetto bruciato vivo, un cameriere omosessuale ucciso a coltellate. Libero nel 2016 dopo i domiciliari concessi nel 2009, prima di questa data Abel ha trascorso le reclusione in Abruzzo.
Nardella, durante i 5 anni di detenzione di Wolfgang Abel, era un semplice agente, incuriosito da quell’uomo chiedeva di poter lavorare proprio nella sezione che lo accoglieva e non ha mai dimenticato i modi di fare di quel detenuto che tutti i criminologi del mondo avrebbero voluto conoscere per ‘studiare’. “Guardavo le sue mosse, le osservavo attentamente” ha detto il poliziotto della penitenziaria ancora impressionato nel ricordare l’ordine maniacale e la pulizia tenuta in cella dal serial killer che era di un ‘silenzio e una discrezione atipica per un detenuto’.
“Un personaggio sui generis – ha aggiunto Nardella – Si mostrava sempre diffidente e sinceramente non ho mai capito il motivo per cui lo facesse, forse per timidezza o perché non accettava minimamente il fatto di essere recluso. Il suo accento tipicamente tedesco mi riportava alla mente immagini di generali delle Schutz-Staffel, in breve ss. Legava pochissimo con gli altri reclusi e raramente socializzava. I suoi occhi di ghiaccio facevano molta più paura del suo fisico, non certo da ‘palestrato’. La sua cella era tenuta in un ordine davvero maniacale e, proprio per l’ordine e la pulizia, quella stanza era la più ambita quando nella sezione si dovevano effettuare delle perquisizioni. Leggeva moltissimo, tantissimo, soprattutto libri di matematica”.
“Ricordo un criminologo che mi disse che avrebbe pagato oro per stare al posto mio. Era quello il periodo in cui a Sulmona erano reclusi personaggi del calibro di Gianfranco Stevanin il mostro di Terrazzo e Simone Cassandra il mostro di Norma – ha concluso l’ispettore della Polizia penitenziaria – Soprannominai Wolfgang Abel ‘Mathaus’ per via della sua incredibile somiglianza a un campione di calcio tedesco un mito di quegli anni”. Il serial killer 64enne è morto poche ore fa dopo 3 anni di coma per una caduta accidentale. Si è sempre professato innocenrte.