Questa non è la mafia dei pascoli: perché il malaffare vuole le nostre montagne tutte per sé

28 Luglio 2024
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La “mafia dei pascoli” non è mai esistita. Dai racconti del territorio emerge un paesaggio di terrore e intimidazioni

L’AQUILA – La “mafia dei pascoli” non è mai esistita. Dai racconti del territorio e dall’analisi della movimentazione dei contributi europei per la Politica Agricola Comune (titoli PAC) realizzato da Lina Calandra, docente dell’Università degli Studi dell’Aquila e referente del laboratorio di geografia dell’ateneo, il Cartolab, emerge che l’acquisizione illecita dei fondi europei destinati all’agricoltura, sebbene rimanga grave, è il minore dei mali.

L’accaparramento dei titoli PAC realizzato negli ultimi dieci anni da parte di migliaia di imprese agricole fittizie, ha permesso a un insieme di organizzazioni criminali di assicurarsi l’accesso esclusivo a vaste aree remote in tutta Italia, difficilmente accessibili sia perché montuose sia perché protette da vincoli faunistici e paesaggistici. In questo modo, nomi eccellenti di camorra, ‘ndrangheta e “movimenti criminali autonomi” del foggiano, del Gargano e del barese hanno istituito le loro private “riserve del malaffare”, trasformando luoghi idillici e impervi storicamente adibiti a pastorizia, pascoli e agricoltura in lande per diverse attività, tra cui l’interramento di rifiuti.

L’Agenzia per le erogazioni in agricoltura (Agea), ente ministeriale deputato ad autorizzare e vigilare, per l’appunto, sull’erogazione dei PAC e altri contributi, non risulta aver mai segnalato anomalie.

“Non sai quello che scrivi, chi ti da queste notizie? Queste notizie sono false. Questa è una cosa che anche tu ci puoi guadagnare, ci dobbiamo vedere…”: così per telefono “un uomo dal chiaro accento settentrionale, al quale chiedevo chi fosse e i motivi per cui mi aveva cercato”, si legge nel verbale di denuncia depositato il 31 agosto 2013 dal presidente del Comitato spontaneo allevatori Abruzzo (Cospa) Dino Rossi, presso la stazione dei carabinieri di Sulmona. Rossi è stato il primo a denunciare alle forze dell’ordine l’accaparramento illecito dei titoli PAC, unitamente all’occupazione vera e propria dei pascoli di montagna.

Esponeva Rossi nella querela, undici anni fa: “Alcuni imprenditori disonesti che hanno acquisito detti titoli [titoli PAC], pur non avendo animali, per accedere indebitamente ai finanziamenti della Comunità europea, hanno cercato di dimostrarne il possesso, quanto meno affittando terreni per il pascolamento”.

Nonostante le varie minacce, Rossi non si è mai piegato, vedendosi andare a fuoco diversi mezzi agricoli.

Oltre al vantaggio economico realizzato a danno dei fondi europei per l’agricoltura, le voci del territorio abruzzese restituiscono un paesaggio profondamente ferito dal terrore e dalle intimidazioni. A mettere insieme per la prima volta i racconti dei molti che non hanno avuto il coraggio di presentare un esposto o ai quali è stato impedito di farlo, è stato il Cartolab, nel corso di diversi progetti di studio geografico in collaborazione con gli Enti parco. Le ricerche, svolte tra il 2017 e il 2021, hanno interessato 112 comuni, quasi tutti in tre aree protette, di cui: 44 nel Parco nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga; 39 nel Parco nazionale della Maiella; 22 nel Parco regionale del Sirente-Velino, più sette immediatamente fuori da quest’ultimo. In totale, sono stati intervistati in oltre mille tra allevatori, produttori, istituzioni ed esponenti a vario titolo del territorio.

Di fronte ai risultati sconcertanti, Calandra ha stilato un rapporto, “Evidenze di fenomeni criminogeni in riferimento ai pascoli montani e ai contributi europei della Politica Agricola Comune (PAC)”, pubblicato nel 2022. Il fascicolo consiste in un’attenta mappatura dei PAC e dei loro beneficiari, informata dalle testimonianze raccolte.

“Tutto avremmo pensato tranne che ci saremmo imbattuti in fenomeni criminosi – racconta ad Abruzzo Speciale Calandra – il progetto a cui stavamo lavorando quando abbiamo realizzato la prima parte delle interviste si chiamava ‘Il territorio dei miei sogni’, in collaborazione con il Parco nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga, per indagare le esigenze del territorio e tracciare nuove linee guida per la redazione del nuovo piano di sviluppo socio-economico del Parco”.

Secondo Calandra, “parlare di ‘mafia dei pascoli’ è fuorviante. Quello che emerge dalla ricostruzione della movimentazione dei titoli PAC è un sistema ben organizzato. Abbiamo ricostruito un vero e proprio modello: ci sono degli attori che hanno la regia, di solito provenienti da territori classicamente a più alta concentrazione mafiosa, anche dislocati al nord, quindi dalla provincia di Palermo o Reggio Calabria, piuttosto che da quella di Brescia. Poi c’è un corpo di attori che è l’ingranaggio del meccanismo, perché è la facciata, e può essere identificato in quello che il territorio racconta come ‘gli imprenditori del Nord’. Loro sono lo snodo per il trasferimento dei titoli. Alla fine ci sono gli attori del territorio, i malcapitati, lasciati spesso senza via di scampo”. 

Riguardo all’interramento di rifiuti, Calandra spiega: “Non è solo una persona che ce lo ha detto, noi abbiamo lavorato su un campione di poco più di 1000 intervistati, e ne hanno parlato in maniera sistematica ed esplicita in molti, soprattutto nel chietino, nel pescarese, e nell’aquilano a Pacentro e Campo di Giove”.

“Siamo invasi dagli allevatori che vengono da fuori, il sindaco è vero che prende 25mila euro all’anno per l’affitto dei pascoli ma se ne lava le mani, perché pur avendo i certificati il trucchetto lo fanno: la notte arrivano con i tir e scaricano spazzatura; c’è un mondo dietro che è pure pericoloso”, riferisce uno degli interlocutori della Calandra. Lo stralcio di intervista qui riportato rimane anonimo e privo di elementi che possano identificare la fonte per motivi di sicurezza e rispetto della privacy.

Negli ultimi anni le forze dell’ordine hanno compiuto diverse indagini. La più recente, detta anche operazione “Transumanza”, è stata portata avanti dalla guardia di finanza di Pescara. L’indagine si è conclusa a maggio scorso. La Direzione distrettuale Antimafia della Procura dell’Aquila ha contestato a diversi soggetti, tra cui i trentini Armando e Mariano Berasi, vari reati, tra cui autoriciclaggio e reimpiego di proventi illeciti.

Ancora più importanti dei nomi individuati, tuttavia, sono i pattern operativi messi in campo da certi personaggi. “Noi ricostruiamo i modelli, poi se è Berasi o qualcun altro, non importa – dice Calandra – Lo stesso schema utilizzato per i titoli PAC vale in tutti quei sistemi in cui ci sono quote o titoli, ad esempio quello delle energie rinnovabili”. 

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