Orsi confidenti vs orsi disperati: ad Abruzzo Speciale ne parlano il direttore dello Pnalm, Luciano Sammarone, e lo zoologo Paolo Forconi
PESCASSEROLI – Nonostante i numerosi interventi preventivi messi in campo dal Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise (Pnalm) per dissuadere l’orso marsicano dal creare danni agli insediamenti umani e allo stesso tempo impedire che lo stesso orso rimanga vittima degli esseri umani, il 2023 è stato l’anno record per “danni da orso” causati a campi coltivati e visite dei plantigradi ai centri abitati. Il Rapporto Orso 2023, rilasciato dallo Pnalm a giugno 2024, conta 132 incursioni in aree adibite a colture, di cui 19 nell’area del parco, 91 in aree contigue e 22 in zone ancora più esterne, per un totale di 38.220 euro di danni registrati. Nello stesso documento si legge che nel 2022 le incursioni complessive dell’orso sono state solo 40, con danni per 4.785 di euro, cifre irrisorie rispetto a quelle odierne.
Secondo lo Pnalm, gli orsi che cercano cibo nei campi o addirittura nei cassonetti dei paesi sono “orsi confidenti/problematici”, come si legge sul sito internet dell’ente. Secondo l’ente, il primo caso di orso “confidente/problematico” si è verificato nel 1994. Prima non succedeva, perché “l’orso era legalmente abbattuto e di conseguenza gli individui più problematici venivano rimossi, e ovviamente questo aveva degli effetti sul comportamento degli animali rendendoli più schivi”, spiega il Parco sul suo portale web.
Per risolvere il problema, lo Pnlam ha messo in atto il “Protocollo per la gestione degli orsi confidenti/problematici”. Quindi, all’orso che cerca cibo probabilmente nell’unico posto dove ormai lo trova, ovvero il cassonetto o il pollaio del paese, bisogna sparare con proiettili di gomma. Dall’uccisione di Amarena la scorsa estate ad oggi, passando per la morte su strada di Juan Carrito, sono sempre più forti le polemiche sollevate dal mondo ambientalista e non solo in merito alle strategie messe in campo dallo Pnalm per la tutela dell’orso bruno marsicano, specie in via d’estinzione.
In attesa della realizzazione della prima stima di popolazione su base genetica dell’orso marsicano in tutto il suo areale appenninico ad aprile 2025, Abruzzo Speciale ha incontrato per voi due voci opposte del dibattito: il direttore dello Pnalm, già colonnello dei carabinieri forestali, Luciano Sammarone e lo zoologo e documentarista Paolo Forconi. La stima di popolazione dell’orso marsicano su base genetica, lo ricordiamo, è stata voluta dal Ministero per l’Ambiente e dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), unitamente allo Pnalm e al Parco nazionale della Maiella. A realizzarla sarà l’Istituto di ecologia ambientale (Iea), incaricato tramite gara dal Ministero dell’Ambiente, con uno stanziamento di 1 milione di euro dal Pnrr.
“L’orso bruno marsicano è una specie protetta e merita particolari attenzioni – spiega ai nostri microfoni Sammarone – in questi ultimi anni stiamo cercando di far capire ai cittadini in maniera più intensa il valore dell’orso marsicano. Tutelarlo significa tutelare il territorio, perché l’orso marsicano vive solo in alcuni territori di particolare pregio, quindi se ho l’orso sul territorio significa che il mio territorio è migliore rispetto agli altri, e quindi posso venderlo meglio. Qui però ancora non riusciamo a capitalizzare bene il valore dell’orso marsicano – e aggiunge – Abbiamo comunque fatto tanti passi in avanti da quando l’orso veniva considerato solo una scocciatura perché si andava a mangiare il mais, e veniva ucciso”.
Secondo Sammarone, “gli orsi non scendono nei paesi perché hanno fame, ma perché c’è una competizione tra di loro, e la competizione che vivono va a scapito degli animali più deboli. Ognuno di loro ha il suo carattere e questo fa la differenza in maniera significativa. Gli orsi giovani subiscono la competizione degli orsi più grandi”.
Dopo la morte di Amarena, alcuni volontari hanno piantato un frutteto di meli per favorire l’approvvigionamento degli orsi. “Noi guardiamo con favore a queste operazioni, ma non le facciamo – spiega ad Abruzzo Speciale il direttore del Parco – Quello che noi stiamo facendo, invece, è adoperarci per il recupero delle vecchie piante da frutta in disuso in montagna. Nelle montagne di frutta ce n’è tantissima, e tutte queste piante da frutta vanno recuperate”.
In base all’osservazione del comportamento di Juan Carrito e alla mappatura dei suoi avvistamenti, è molto forte l’ipotesi secondo cui il figlio di Amarena si sia trovato ad attraversare molto spesso la strada nei pressi di Castel di Sangro perché in cerca di cibo tra un paese e l’altro. Quando è stato investito, lo ricordiamo, era il 22 gennaio del 2023, momento di grande appetito per gli orsi, che devono fare scorta di grasso per andare in letargo.
“Non è vero che gli orsi non hanno da mangiare – replica ad Abruzzo Speciale Sammarone – ‘Juan Carrito andava ai cassonetti perché non aveva da mangiare’: non è vero. Juan Carrito pesava tre volte quello che avrebbe dovuto pesare quando è stato investito. È più comodo per loro andare al cassonetto. E comunque quando è morto, verso fine gennaio 2023, aveva il pelo a posto intorno al collo, il radiocollare non gli aveva causato problemi. Tante persone si prendono la droga semplicemente perché non vogliono affrontare la realtà, o per altre questioni. Allo stesso modo fanno gli orsi: quando si avvicinano ai paesi non lo fanno perché in montagna non c’è da mangiare, ma perché è più comodo e non devono litigare con gli animali più grandi”.
Quindi anziché piantare alberi da frutto o ricorrere alla pratica del foraggiamento, il Parco si attiene all’utilizzo dei proiettili di gomma per dissuadere gli orsi dal “compiere le marachelle” e andare a rovistare nella spazzatura o divorare le galline di qualcuno. “L’uso dei proiettili di gomma fa parte dei una procedura codificata, nell’ambito del protocollo di gestione degli orsi confidenti, validato dall’Ispra – spiega ai nostri microfoni il direttore dello Pnalm – e autorizzato dal Ministero dell’Ambiente. Un po’ come lo scapaccione che si da al bambino quando fa qualcosa che non dovrebbe. La dissuasione è uno degli strumenti che si usa per dire agli orsi che quello che stanno facendo non va bene. La funzionalità di queste azioni, ovviamente, è legata anche a quello che poi si fa per metterlo nelle condizioni di non ripeterlo. Come con un drogato: se non lo cacci dalla dipendenza, è chiaro che lui continuerà a cercare la droga”.
Per Sammarone, “il primo provvedimento da prendere per la salvaguardia dell’orso riguarda la mobilità, perché la maggior parte sono morti investiti. Io sono riuscito a far fare la recinzione all’Autostrada dei Parchi nel tratto di Carrito di Ortona dei Marsi, che non ci ci era mai riusciti prima – e aggiunge – Siamo riusciti a ridurre il bracconaggio, tranne l’episodio luttuoso di Amarena. Dobbiamo rendere il territorio permeabile all’orso, in modo tale che si possano muovere e colonizzare altri territori, e quindi spostarsi altrove e alleggerire la pressione che abbiamo”.
Già chiamato dal Parco nazionale dei Monti Sibillini, dal Parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, dal Parco regionale del Conero, e altri enti pubblici e privati per consulenze di tipo zoologico e naturalistico, Paolo Forconi la pensa diversamente.
Secondo Forconi, “non si può continuare ad usare da vent’anni la stessa strategia nonostante non funzioni”.
Piuttosto, spiega ad Abruzzo Speciale Forconi, “bisognerebbe prendere esempio dalla gestione che ha attuato la Spagna. Lì erano rimasti meno di 100 orsi e negli ultimi vent’anni hanno piantato 380mila alberi da frutto. Adesso in Spagna ci sono quasi 400 orsi”.
Continua lo zoologo: “Si parla di piantare alberi da frutto in modo da aumentare la disponibilità di cibo per gli orsi. L’autunno è il periodo dell’iperfagia, perché gli orsi devono mangiare molto per ingrassare e prepararsi per il letargo. Mangiano soprattutto faggiole e ghiande, ma la produzione di questi prodotti subisce una fluttuazione naturale, ma anche in parte influenzata dal clima. Un anno producono tanti frutti e l’anno dopo magari di meno, quindi c’è l’anno di abbondanza, in cui gli orsi non si vedono mai, e poi c’è l’anno di carestia, in cui gli orsi cercano un’alternativa alle faggiole, costituita soprattutto dalle mele. Se poi non trovano neanche quelle, fanno migrazioni di molti kilometri, fino ad arrivare nella piana del Fucino, dove si nutrono del mais dei campi o della frutta degli alberi vicini ai paesi. Di conseguenza aumentano i danni da orso, i conflitti con la popolazione, e il bracconaggio”.
Secondo Forconi, “se gli orsi non trovano in montagna e nei boschi nemmeno la frutta, vanno nei cassonetti dei rifiuti. I cassonetti dei rifiuti sono l’ultima chance che gli orsi hanno per nutrirsi”.
Lo zoologo documentarista, che più volte ha filmato i plantigradi cercare cibo in frutteti adiacenti ai paesi o su tavoli da picnic, sostiene ai nostri microfoni che “la soluzione sarebbe piantare migliaia di alberi da frutto e potare e manutenere quelli già esistenti nel bosco. Questo però significa che l’albero produrrà la frutta entro i prossimi cinque anni, quindi nel periodo dell’emergenza bisogna ricorrere al foraggiamento con cibi naturali nel bosco. Quindi il Parco o la Regione Abruzzo, che ne hanno la competenza, dovrebbero distribuire nel bosco soprattutto frutta, come le mele, in modo che gli orsi non vadano nei paesi a fare danni o essere sparati, come poi è successo con Amarena”.
Lo Pnalm è fermamente contrario al foraggiamento, poiché “stando alla International Union for Conservation of Nature (Iucn) organo a cui fa capo anche l’Ue, gli studi sull’alimentazione supplementare non sono concordi”, come spiegato ad Abruzzo Speciale da Sammarone.
Eppure “il foraggiamento si fa nell’80% dei paesi europei, si fa in Nord America – sottolinea ad Abruzzo Speciale Forconi – nei paesi dove ci sono più orsi, si fa il foraggiamento. Dove non si fa il foraggiamento, ci sono meno orsi. L’unica eccezione è la Spagna, dove non si fa il foraggiamento, però piantano diverse centinaia di migliaia di alberi da frutto ogni anno. Secondo lo Pnalm neanche questo è necessario fare. Mi sembra una scelta politica, non fatta sulla base di nozioni scientifiche”.
Lo zoologo si esprime in maniera critica anche riguardo l’efficacia dei proiettili di gomma come mezzo dissuasivo. “Quello che succede – dichiara ad Abruzzo Speciale Forconi – è che l’orso se ne va dal paese da cui è stato scacciato con i proiettili di gomma e si sposta in un altro paese. È quello che è successo con Juan Carrito, che da Ortona si è spostato a Bisegna, poi a Villalalgo, poi a Scanno, Roccaraso, e infine a Castel di Sangro, dove è morto investito. Aveva inoltre il collo ferito dal radio collare, che non gli era stato cambiato, e un occhio cieco, che non si sa come sia successo. Una delle ipotesi è che ci sia finito un proiettile di gomma”.