Dal convegno nazionale “Orsi e Pastori: due specie a rischio di estinzione” denunciata mancanza di democrazia e di tutela delle comunità
NAVELLI – L’insistenza sul territorio della Regione Abruzzo di ben tre parchi nazionali, rispettivamente quello della Maiella, unitamente all’interregionale di Abruzzo, Lazio e Molise e Gran Sasso e Monti della Laga, e al parco regionale del Sirente – Velino, ha davvero migliorato le condizioni di vita delle comunità locali e tutelato la flora e la fauna endemiche dell’area?
Stando a quanto emerso dal convegno nazionale “Orsi e Pastori: due specie a rischio di estinzione”, tenutosi sabato scorso dalle ore 10 presso la Sala polifunzionale “G. Santucci”, in piazza San Pelino, a Navelli alla presenza di ricercatori, accademici ed esperti del settore agricolo da tutta Italia, urge un cambiamento nelle politiche ambientali attuali della Regione Abruzzo, come del resto d’Italia.
Assenti la Regione Abruzzo, i vertici degli enti Parco e altri esponenti delle amministrazioni locali, nonostante il caloroso invito alla partecipazione. A gremire la platea, invece, un. gruppo di ricercatori, accademici, scrittori, giornalisti, allevatori, agricoltori, viticoltori e imprenditori a vario titolo, convenuti a Navelli da diverse parti d’Italia.
Ad inaugurare la conferenza l’emozionante documentario dello zoologo e filmmaker Paolo Forconi dedicato ai cuccioli di Amarena, seguito dai calorosi saluti istituzionali del sindaco del borgo dello zafferano, Paolo Federico.
”Ci teniamo a dare la possibilità al territorio di esprimersi, far sentire la propria voce – ha detto Federico – per questo siamo onorati di ospitare nel nostro comune un appuntamento di così alto spessore sociale e culturale. Per porre un freno ai problemi dilaganti nel comparto agricolo e tra le comunità rurali del nostro territorio occorrono buona informazione e progettualità”.
Navelli, lo ricordiamo, è stato l’unico tra i comuni contattati a mettere i propri spazi a disposizione della riunione.
L’assise, indetta dall’Associazione nazionale per la tutela della vita e dell’ambiente rurali, è stata fortemente voluta in Abruzzo dal vicepresidente dell’associazione, l’imprenditore agricolo Dino Rossi, già presidente del Cospa Abruzzo. Al suo fianco e incluso nella rosa degli autorevoli relatori anche il presidente dell’associazione, l’esperto di Montagna Michele Corti, docente del Dipartimento di Agraria dell’Università Statale di Milano. Ha moderato i lavori la giornalista Federica Adriani.
“In passato gli abitanti delle comunità montane vivevano la montagna, in un equilibrio certo non semplice, ma comunque bilanciandosi a vicenda – ha detto Rossi – oggi, invece, il mondo agropastorale si trova schiacciato tra le norme Ue del Green Deal e i titoli PAC ridotti all’osso. Le aggressioni da parte dei lupi aumentano sempre di più, crescono i danni da cinghiale e da cervo, mentre l’orso marsicano e tante specie avicole vengono condannate all’estinzione da norme che ai pascoli e ai raccolti prediligono distese di sterpaglie e pannelli solari”.
A Rossi è succeduto nell’intervento Virgilio Morisi, allevatore di Pescasseroli e presidente dell’Associazione Cura Civium ad Bonum Naturae, ente per la tutela dei cittadini e delle buone pratiche agrosilvopastorali. L’impegno dell’organizzazione nasce per promuovere una cultura delle buon senso e della cura del territorio che sia in grado di contrastare gli impedimenti burocratici che la stratificazione negli anni delle normative del Parco porta con sé. “Gli allevatori dovrebbero avere degli avvocati che li assistono costantemente – racconta Morisi – purtroppo gli iter burocratici imposti dalle normative dei Parchi nella maggior parte dei casi impediscono agli attori stessi del territorio, nel caso specifico gli imprenditori agricoli, di prendersi cura del territorio stesso. Per questo abbiamo fondato l’associazione, per dimostrare al Parco l’importanza e la volontà di prenderci cura del nostro territorio, come abbiamo sempre fatto da generazioni”.
Morisi cita alcuni esempi emblematici: “Non siamo autorizzati a restaurare i muri a secco crollati, poiché il Parco sostiene di doverlo fare lui, non siamo autorizzati a prenderci cura degli alberi da frutto in montagna, né recuperare frutteti o uliveti abbandonati nelle aree Parco”.
Sulla stessa linea di Morisi, è intervenuto Paride Tudisco, presidente degli usi civici del teramano. Tudisco, nel riportare il ricorso presentato dalle Asbuc di Teramo alla delibera regionale che include gli usi civici nei piani Parco, decretando dunque l’impossibilità di azione dell’essere umano su tutti i terreni ad uso civico ricadenti nelle aree dei parchi.
“Sebbene sia stato dimostrato che l’operato agricolo dell’uomo porta alla diminuzione dei rischi idrogeologici – esordisce Tudisco – comunque continuiamo a non essere minimamente coinvolti né dalla Regione Abruzzo né dai Parchi, anche quando si tratta di prendere decisioni che penalizzano pesantemente l’operato di chiunque viva nei comuni all’interno delle aree Parco”.
“Non abbiamo potuto fare altro che opporci ad una normativa che altrimenti ingesserebbe quasi tutte le comunità montane abruzzesi – ha continuato Tudisco – Anche le amministrazioni comunali, che di solito devo dire non sono molto reattive, stavolta si sono mostrate estremamente sensibili al tema, fornendoci il loro supporto. Il nostro obiettivo è quello di aprire un dialogo con la Regione Abruzzo, in modo da rivedere insieme la delibera e far sentire la voce del territorio”.
D’altronde quello tra il territorio e i Parchi, in Abruzzo e non solo, sembra essere un rapporto più che complesso, difficile.
“Prima di introdurre delle normative in un territorio che per secoli, se non millenni, si è preservato grazie alle consuetudini delle popolazioni che lo abitano, bisognerebbe conoscere profondamente quel territorio”, ha sottolineato la geografa dell’Univaq Lina Calandra.
“Il nocciolo del problema qui è che non c’è dialogo tra gli enti Parco e chi i Parchi li vive. Questo è quanto emerso in anni di indagini condotte nei Parchi e per i Parchi abruzzesi nell’ambito dei progetti ‘life’”.
Proprio nel corso dello studio sul campo condotto dall’équipe di geografia dell’Univaq su commissione del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, Calandra e i suoi studenti si sono imbattuti nelle attività criminose della mafia dei pascoli. La professoressa è stata tra i primi, insieme a Rossi, a denunciare in maniera puntuale alle forze dell’ordine l’operato di un gruppo criminale organizzato sulle montagne abruzzesi, con tanto di mappatura della movimentazione dei titoli PAC.
“Dai numerosi attori del territorio intervistati, in oltre un migliaio tra esponenti del comparto agricolo, allevatori e istituzioni, risulta esserci un deficit democratico nella gestione dei territori compresi nelle aree Parco – ha dichiarato Calandra, e ha aggiunto – Chi è che decide in questi Parchi? Bisognerebbe tornare ad una politica dei territori, e non per i territori”.
Dopo lo spazio di confronto con il pubblico e un breve momento conviviale ritagliato per la pausa pranzo, ha preso la parola il professor Michele Corti. “L’agricoltore produce dei beni ambientali, dei prodotti che fanno parte integrante dell’ecosistema, proprio per poter esercitare la sua professione – ha spiegato Corti – Le leggi anacronistiche impediscono di pascolare all’interno del bosco, dove invece le capre soprattutto farebbero un’azione di cura del sottobosco naturale, senza la quale si ha uno strato necrotico di sottobosco incolto e sterpaglie, che poi favoriscono incendi difficilmente domabili”.
A Corti ha fatto seguito la relazione del giornalista e scrittore Giovanni Todaro, nonché esperto di lupi, dedicata alla disinformazione e alla propaganda adottate da gran parte del mondo ambientalista per raccogliere adesioni e fondi. “La mala gestione della fauna selvatica in Abruzzo come altrove sta esponendo sempre più la popolazione a grandi predatori, in questo caso soprattutto il lupo”, ha detto Todaro.
E ha fornito dei dati: “Dal 1971 sono stati attivati oltre 60milioni di euro per il lupo e per l’orso – ha evidenziato Todaro – mentre dal 1992 al 2019 sono stati erogati in totale 97milioni di euro per le azioni di mitigazione dei danni causati dalla fauna selvatica”. Come riportato dal giornalista, inoltre, la predazione del lupo sull’essere umano è ben documentata storicamente in tutto il mondo, compresa l’Italia. Da quanto riportato da Todaro, il caso del lupo di Vasto, che la scorsa estate ha aggredito numerosi avventori della costa abruzzese tra Chieti e Vasto, non è un episodio eccezionale, bensì il risultato di una cattiva gestione di uno dei più antichi predatori dell’essere umano.
Discorso diverso, invece, è stato fatto per l’orso bruno marsicano. Specie endemica dell’Abruzzo e pacifico per natura, l’orso marsicano è ormai ridotto ad una cinquantina di esemplari.
“L’orso confidente non esiste – è intervenuto lo zoologo Forconi – scientificamente si chiama ‘orso abituato all’uomo’ – e ha aggiunto – il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise continua ad opporsi alla pratica del foraggiamento, sebbene sia stato ampiamente dimostrato in altri territori che è l’unico modo per fornire cibo sufficiente agli orsi nei periodi di scarsità di cibo sulle montagne”.
“È proprio nelle annate in cui è più difficile trovare la fagiola, alimento prediletto dal plantigrado, che l’orso marsicano si espone al rischio di essere bracconato o di essere investito pur di andare alla ricerca di cibo. L’apice della disperazione, per l’orso, è costituito dai cassonetti delle abitazioni. Cacciarli con proiettili di gomma causa solo stress, e li fa spostare in altri paesi”.
“A causa dell’inadeguatezza del Patom, il cosiddetto protocollo messo in campo dal Parco per la gestione di quelli che vengono erroneamente definiti ‘orsi confidenti’, le femmine sono state costrette a grandi spostamenti, nonostante nella socialità dell’orso siano più stanziali – e ha aggiunto – tra il 2020 e il 2023 le femmine con i piccoli sono in calo”.
In difesa dell’orso bruno marsicano si è schierato con forza anche lo studioso di tassonomia e conservazione dei mammiferi Spartaco Gippoliti, rappresentante dell’associazione Wilderness. “Nonostante milioni di persone all’anno si rechino in Abruzzo per vedere l’orso bruno marsicano, unico al mondo, a livello internazionale non esiste come specie – ha detto Gippoliti – poiché lo zoologo a cui si appoggia il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, Luigi Boitani, sembra essere contrario al riconoscimento della specie dell’orso marsicano”.
“Il 20 ottobre del 2018, insieme alla Società italiana per la storia della fauna, abbiamo realizzato all’Università di Bologna il primo convegno per l’orso marsicano – ha detto Gippoliti – il Parco e La Sapienza erano invitati, ma non sono venuti”.
L’ultimo intervento, ma non meno importante, è stato quello dell’imprenditore agricolo abruzzese Alessandro Novelli, dedicato all’introduzione tra le normative europee dei crediti di carbonio.
I crediti di carbonio, legati alla dimostrazione dell’assenza di emissioni di carbonio nel processo di produzione della merce, “sono certificati negoziabili che possono essere emessi sul mercato e diventare moneta – ha illustrato Novelli – nelle bottiglie di acqua minerale vediamo già la dicitura ‘carbon free’, ad esempio”.
Se da un lato l’Unione europea ha posto l’adesione delle aziende alla certificazione dei crediti di carbonio tra gli obiettivi dell’Agenda 2030 per la lotta ai cambiamenti climatici, dall’altro il processo che porta all’ottenimento della certificazione risulta a dir poco salato e non necessariamente utile.
“Le politiche di carbonio stanno portando noi agricoltori ad essere costretti a fare in modo tale da poter dimostrare la cattura o la non emissione di Co2 – continua Novelli – Per fare questo dobbiamo metterci in mano a delle aziende di decarbonizzazione, quindi investire dei soldi. I crediti di carbonio vengono presentati come strumento diretto di azzeramento di emissioni di carbonio. In natura le pratiche della pastorizia sono già ad emissioni di carbonio zero, ma per ottenere queste certificazioni non basta seguire le buone pratiche già esistenti, bisogna affidarsi a delle aziende di rating. C’è bisogno di dimostrabilità, permanenza, progettualità e addizionalità”.
“Per mettere in pratica questa struttura, ci vogliono dei mezzi irraggiungibili per gli agricoltori italiani – aggiunge Novelli – ma chi non aderisce alla politica di decarbonizzazione, gradualmente non riceverà più contributi dall’Unione europea, i famosi titoli PAC”.
Al contrario, i titoli di carbonio, una volta immessi sul mercato, possono essere acquistati dalle grandi aziende. “Quelli che fanno grandi danni ambientali, vanno a compensare acquistando titoli di carbonio – prosegue Novelli – Più le industrie inquinano, più le aree Parco e le riserve integrali si espandono. Più vedremo espandersi i parchi o delle aziende agricole aderire a questo sistema, più i grandi inquinatori stanno crescendo. Non ci sarà neutralità, bensì ci un equilibrio – e ha concluso – Più burocrazia, inoltre, costringe le aziende ad indebitarsi. Siamo vessati al punto tale da essere stati costretti a scendere in campo e protestare. Ci lamentiamo soprattutto di queste nuove politiche, che ci stanno costringendo a non poter più uscire dal debito”.