Per la Corte d’Appello dell’Aquila “condotta incauta” delle vittime del sisma 2009. Circa 14mila euro di spese legali per i loro parenti
L’AQUILA – Dopo quindici anni, il calvario giudiziario per molti dei parenti delle vittime del terremoto del 6 aprile 2009 è ben lungi dal finire. Per alcuni dei cari di chi è rimasto per sempre sotto le macerie, si è trasformato addirittura in una beffa emotivamente ed economicamente insostenibile. Lo testimonia l’ultima sentenza della Corte d’Appello dell’Aquila, che ha confermato il pronunciamento di primo grado del 2022 con il quale aveva scagionato la Presidenza del Consiglio dei ministri da ogni responsabilità per la morte di sette studenti in vari crolli del sisma del 6 aprile. A causa, dunque, della “condotta incauta” delle vittime, i familiari non riceveranno nessun risarcimento per la morte tragica e prematura dei loro ragazzi, anzi, dovranno pagare loro le circa 14mila euro di spese legali. La “sentenza shock” è stata riportata dal quotidiano locale il Centro.
I ripetuti e onnipresenti appelli mediatici della Commissione Grandi Rischi, in cui aquilani e studenti fuori sede residenti nel capoluogo d’Abruzzo venivano caldamente invitati dagli esperti, o supposti tali, a rimanere dentro le proprie abitazioni, per i giudici non avrebbero a che vedere con la scelta dei giovani di tornare dentro le proprie case, dopo essere usciti in strada in seguito alla scossa delle 22:48.
Come purtroppo in molti ricordano, all’epoca ci si ritrovava spesso in strada dopo le scosse, e in tanti poi rientravano dentro, perché, come si sentiva dire per strada, “tanto hanno detto gli esperti che non c’è niente di cui preoccuparsi”. Per i giudici di secondo grado, non ci sarebbero delle prove certe del fatto che le decisioni prese dai ragazzi siano state influenzate dalle incitazioni pubbliche degli esperti a rimanere dentro casa in caso di scossa di terremoto. Sempre secondo i giudici, mancando il nesso “nesso causale”, come si dice in gergo legale, non si può attribuire responsabilità di tipo civile.
La Commissione Grandi Rischi, lo ricordiamo, aveva continuato a rassicurare la popolazione con dichiarazioni sui media, messaggi televisivi, dichiarazioni istituzionali e messaggi riportati dall’allora sindaco dell’Aquila, Massimo Cialente. La campagna mediatica di rassicurazione della Commissione Grandi Rischi continuò vigorosa anche dopo la riunione della stessa commissione a L’Aquila, il 31 marzo del 2009, solo cinque giorni prima del terremoto delle 3:32. I sette scienziati che avevano partecipato alla riunione, tra cui Bernardo De Bernardinis, allora vicecapo della Protezione civile nazionale, erano stati condannati inizialmente a sei anni. Furono tutti assolti in appello, a eccezione di De Bernardinis, per il quale fu confermata anche in Cassazione la condanna a due anni. Lo stesso De Bernardinis, dopo la riunione del 31 marzo 2009 inviò numerosi messaggi rassicuranti agli aquilani, addirittura esortandoli a non uscire di casa dopo una scossa.
Scrivono i magistrati riguardo il caso di Nicola Bianchi: “Ad analoga conclusione – si legge nella sentenza – deve pervenirsi quanto a Nicola Bianchi in quanto, al di là del fatto che non v’è prova della fonte della conoscenza della riunione del 31 marzo e della motivazione della rassicurazione tratta – sicché non v’è alcun elemento che la colleghi proprio alle dichiarazioni del De Bernardinis – gli stessi appellanti non contestano che, stando alle sommarie informazioni testimoniali dei genitori, il ragazzo decise di restare all’Aquila poiché aveva un esame il giorno 8 aprile e la notte del sisma, dopo la scossa delle ore 22:48, uscì in strada, circostanze che contrastano con la tesi che egli avesse così agito sentendosi tranquillizzato sulla base delle dichiarazioni del De Bernardinis e ormai non ritenendo più pericolose le scosse”.
Secondo gli stessi magistrati, “in linea generale, il compendio probatorio acquisito (convocazione della riunione, verbali della stessa, deposizioni testimoniali), al di là del convincimento del capo del Dipartimento di Protezione civile emerso nel corso della conversazione casualmente intercettata tra lo stesso (Bertolaso) e l’assessore regionale (Stati) ha smentito o, comunque, non ha dato conferma della tesi che gli esperti partecipanti alla riunione del 31 marzo – ad esclusione del De Bernardinis, vice di Bertolaso, il quale, peraltro, alla stessa non diede alcun contributo scientifico – avessero, a priori, l’obiettivo di tranquillizzare la popolazione e, quindi, di contraddire o minimizzare quanto desumibile dai dati oggetto della loro valutazione scientifica. Tesi che le parti appellanti ripropongono in termini meramente assertivi senza misurarsi con le risultanze istruttorie”.
È probabile il ricorso in Cassazione contro il pronunciamento della Corte di Appello dell’Aquila.