“Palermo chiama, L’Aquila risponde” è l’iniziativa con cui il capoluogo ha commemorato il 32° anniversario delle stragi di Capaci e via D’Amelio, nell’ambito della 32^ edizione del Premio Borsellino. Presente anche il capo scorta di Paolo Borsellino, Nicola Catanese
L’AQUILA – “Quel giorno è stato il destino a far rimanere in vita me e la mia squadra. Il cambio è stato effettuato lanciando una monetina, perché io volevo staccare per andare a festeggiare l’indomani il compleanno di mia moglie, all’epoca la mia ragazza. Abbiamo fatto testa o croce: croce, chiediamo il cambio; testa, restiamo. È uscita croce, e abbiamo chiesto il cambio. Noi abbiamo smontato e siamo andati via, i colleghi che ci hanno dato il cambio quel giorno sono morti”. A raccontarlo ad Abruzzo Speciale è Nicola Catanese, Sovrintendente della Polizia in pensione da un anno e ultimo capo scorta ad aver incontrato Paolo Borsellino ancora in vita, con l’ultimo saluto due ore prima dell’attentato. Stamattina Catanese ha portato a L’Aquila la sua storia di lotta alle mafie per l’iniziativa “Palermo chiama, L’Aquila risponde”, nell’ambito della 32^ edizione del Premio Paolo Borsellino, tenutasi presso l’Auditorium del Parco.
La giornata, decretata giornata per la legalità e il contrasto alla criminalità mafiosa e rivolta soprattutto ai giovani delle scuole superiori dell’Aquila, che hanno gremito gli spalti dell’auditorium, è stata occasione di commemorazione della stragi di Capaci e di via D’Amelio, entrambe avvenute nel 1992 a soli due mesi di distanza. Il 23 maggio 1992 furono uccisi Giovanni Falcone, sua moglie e collega Francesca Morvillo e la scorta, mentre il 19 luglio Paolo Borsellino e i ragazzi della sua scorta. Proprio alle donne e agli uomini delle scorte è stato dedicato il terzo capitolo del docufilm “I ragazzi delle scorte: io devo continuare”, coprodotto da Rai e dal Dipartimento per la Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno, dalla Presidenza del Consiglio e da 42° parallelo, proiettato per la prima volta oggi, alla presenza dell’autrice del documentario Diana Ligorio.
“Non è vero che le mafie hanno un codice, negli anni hanno ammazzato tutti: uomini, donne e bambini – ha detto Biondi ai ragazzi – Gli unici strumenti che abbiamo per combattere l’illegalità sono quelli dello studio, della curiosità e della conoscenza”.
Ad arricchire l’evento si sono aggiunti gli interventi del sindaco dell’Aquila Pierluigi Biondi, del prefetto dell’Aquila Giancarlo Di Vincenzo, del questore dell’Aquila Enrico De Simone, del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale dei minorenni dell’Aquila David Mancini, del produttore cinematografico Mauro Parissone, di Diana Ligorio e di Nicola Catanese.
“È questo il messaggio che lancio sia da poliziotto che come padre a tutti i ragazzi di oggi: non piegate la testa, camminate a testa alta e combattete sempre, perché siete voi il nostro futuro!”, ha detto ai microfoni della stampa Catanese.
E racconta ad Abruzzo Speciale: “Nonostante dal 1993 sono andato via dal reparto scorte di Palermo e sono andato a finire alla Questura di Messina, dove ho continuato a fare scorte anche lì, con i ragazzi di Palermo siamo sempre in contatto. Anche ora: loro sono a Palermo per la commemorazione e io sono qua, per non dimenticare i colleghi che sono morti e per dare la mia testimonianza ai ragazzi d’oggi e a quelli di una volta. Bisogna combattere, senza mai abbassare la testa”.
Quando chiediamo perché abbia deciso di divenire uomo di scorta, Catanese svela: “È stato un caso, anche se mi piaceva. Mi hanno trasferito all’ufficio scorte e subito mi è piaciuto e ho fatto il corso di addestramento in Sardegna. Dura più di un mese, lì ci formano… Ho sempre detto: ‘Proteggo le persone che combattono le mafie e l’illegalità’”.
Secondo Catanese ci sarà sempre bisogno della scorta “per le persone che combattono la mafia, la camorra e malaffare simile – e aggiunge – Però purtroppo per la scorta dobbiamo avere anche i mezzi, che il Governo in ogni caso ci fornisce, con grande sacrificio. Ci vogliono tante risorse umane ed economiche per proteggere una persona”.
Determinazione e tenacia, ma soprattutto un senso profondo di avversione alle ingiustizie emergono in maniera lampante anche dal documentario “I ragazzi delle scorte: io devo continuare”, che restituisce la narrazione della vita spezzata di Emanuela Loi, poliziotta della scorta di Borsellino, prima donna in servizio a morire in una strage mafiosa.
“Era una ragazza sarda. I suoi familiari raccontano di una persona solare, sorridente e ottimista, che aveva deciso di diventare poliziotta in un periodo storico in cui erano pochissime le donne che decidevano di fare questo tipo di carriera. Viene trasferita a Palermo, arriva lì tra il 1989 e il 1990, e in quegli anni ce ne erano molti omicidi legati alla mafia. Ma lei era una ragazza determinata, e quindi ha deciso di continuare a svolgere servizio lì”, racconta ad Abruzzo Speciale Diana Ligorio.
“Uno degli elementi che mi ha colpito di più di questa vicenda è che lei il 14 luglio 1992 si trovava in Sardegna, aveva appena ultimato le ferie, e decide di tornare in servizio per permettere ai suoi colleghi di andare a loro volta in vacanza, nonostante lei avesse la febbre. Avrebbe potuto prendere malattia, invece sapeva quanto era importante in quel periodo – continua Diana – Dopo qualche giorno, il 19 luglio, c’è la strage di via D’Amelio. Tenacia e determinazione l’hanno portata, purtroppo, ad incorrere in questa fine fatale”.